La serata più toccante, più partecipata, con la pista polivalente di Rivalta insuffciente a contenere le presenze, e nemmeno bastano le sedie prese a prestito da canonica e tendoni-ristorante. La gente che a tratti sorride, guardando il filmino di un matrimonio come fosse a casa di conoscenti, e pochi istanti dopo asciuga gli occhi dalle lacrime, ripensando alla testimonianza di Chiara Corbella, nata in cielo solo due anni fa, il 13 giugno 2012, ventottenne, e a quella del suo sposo Enrico Petrillo.
D’altronde era nelle previsioni, tanto pubblico, come sempre quando si va a sfiorare il mistero dell’eternità, e meno male che invece le altre previsioni, quelle temute del meteo, si rivelano eccessivamente severe. Così lunedì 16 giugno non piove, mentre il direttore spirituale di Chiara, padre Vito D’Amato, fa vedere il sole anche tra le nuvole più grevi, ovvero - fuor di metafora - addita la grandezza di Dio anche dove il mondo vede solo cinismo o pazzia.
È questo giovane sacerdote francescano, che si autodefinisce uno dei preti più fortunati della terra per la grazia in cui ha potuto inserirsi, a prendere per mano l’uditorio e a raccontare degli amici romani Chiara e Enrico. Una coppia comune della generazione cresciuta da san Giovanni Paolo II, tra parrocchia e Gmg. E litigarella al punto giusto, tanto che solo quando lui l’ha lasciata, lei (“un po’ capocciona”, dice padre D’Amato) ha capito - tra un pellegrinaggio a Medjugorje e qualche pianto a dirotto - che Enrico era la persona giusta e che desiderava “accoglierlo”, non prenderlo, nel matrimonio. I fidanzati, assistiti da padre Vito e da altri frati di Assisi, arrivano a celebrare il sacramento nuziale il 21 settembre 2008. Subito Chiara resta incinta di una bimba, Maria Grazia Letizia, a cui viene diagnosticata una di quelle malformazioni congenite che non lasciano scampo: anencefalia. I suoi genitori, senza indugi, scelgono di accompagnarla nel suo brevissimo viaggio terreno: appena mezz’ora, il tempo per stringerla e farla battezzare a don Vito.
Il funerale, l’indomani, si trasforma in una lode a Dio.
La scena purtroppo si ripeterà, anche se nulla può essere uguale in questo genere specialissimo di avvenimenti, alla fine della gravidanza di Davide Giovanni: il bambino, di cui verso il settimo mese l’ecografia aveva evidenziato malformazioni viscerali con assenza degli arti inferiori e “incompatibilità con la vita”, respirerà per 38 minuti, sarà battezzato e restituito a Dio.
Intanto gli amici intorno a Enrico e Chiara, a questo secondo funerale, sono diminuiti, annota il confessore.
Ma i due sposi hanno imparato la Provvidenza, aggiunge l’ospite del Festincontro. Chiara capisce che “il figlio è un dono e devi essere pronto, sempre, a ridonarlo” e che “i disegni di Dio sono molto più belli dei suoi”.
Questa è la parte più dura, da ascoltare.
Padre Vito afferma che la tentazione più pesante di Chiara era quella della “normalità”, intendendo per normalità la pretesa che Dio esaudisse i suoi desideri, manco fosse un dispensatore di cioccolatini. Lo dice di Chiara, ma può valere per tutti: la normalità come un modo conformista di pensare la fede o la preghiera.
Ma Dio - continua padre Vito - fa opere d’arte, in cui ogni tratto è imprevedibile. Così è stato per la vita di Chiara, che ha saputo abbandonarsi a Dio “con il cuore immacolato di Maria”, lasciandosi purificare dal dolore che ha patito. Gioia e sofferenza possono stare assieme.
Già, perché questa storia prosegue con una terza gravidanza: Francesco. Stavolta il figlio è sano, ma è la madre a sentirsi diagnosticare, a metà gestazione, un carcinoma alla lingua. È una patologia che di solito colpisce uomini ultrasessantenni dediti al fumo e all’alcol, segnala il frate. Come dire che l’inspiegabile, nella vita degli uomini, reclama sempre la sua parte.
La coppia non nutre dubbi e vuole portare più avanti possibile la gravidanza, anche a rischio della vita della mamma. Francesco viene alla luce il 30 maggio 2011. Solo dopo il parto Chiara si sottopone a un intervento radicale e ai cicli di chemio e radioterapia. Si godrà la sua creatura per un anno, nel quale non smetterà di rendere testimonianze di lode a Dio, insieme ad Enrico. “Chi ti ha detto che non puoi essere felice con una metastasi all’occhio?”, incalza padre Vito mentre scorrono immagini girate a Medjugorje nell’aprile 2012, due mesi prima del trapasso della donna.
Il giorno del funerale, Chiara Corbella era vestita da sposa. Una scelta sapiente, commenta il francescano, perché ricorda che il primo matrimonio è con Dio: è quello che dura in eterno, mentre il sacramento tra i coniugi inevitabilmente finisce con la morte.
Chiara ha trovato nel Crocifisso la conferma delle sofferenze degli uomini, ma anche la consolazione, cioè la certezza che il suo Amore è più grande e vince.
Enrico si è santificato in tempi record, se a chi gridava la sua disperazione per il male inguaribile della moglie, ancora negli ultimi giorni, diceva: “Se sta andando da Chi l’ama più di me, perché non dovrei essere felice?”.
Edoardo Tincani