Riprendiamo un attimo il brano biblico a cui è ispirato il tema annuale.
Il contesto in cui Gesù annuncia questa parabola è quella della fase immediatamente successiva alla sua entrata solenne in Gerusalemme, ed è subito evidente a chi si riferisce parlando di invitati, servi e Re, meno chiara però è la sua attualizzazione alla nostra realtà. Vediamo ora di capire cosa ci dice questo brano a noi ora, in questo tempo e nella specifica situazione locale in cui ci troviamo.
Capita talvolta che si reciti il ruolo dei primi invitati, quelli che rifiutano le nozze: la nostra pigrizia, gli impegni quotidiani del lavoro e della famiglia, le mille attività anche all’interno delle nostre Parrocchie, ci fanno dimenticare che tutto questo lo facciamo perché siamo invitati alla grande festa del Signore; siamo sempre troppo presi dalle nostre cose che qualche volta ci sfugge il fine ultimo di tutto questo lavoro, l’orizzonte si appesantisce e il passo si fa lento. A questo tipo di atteggiamento la parabola riserva un trattamento durissimo.
Se invece vogliamo essere veri cristiani ed obbedire al Re allora dobbiamo essere servi, è questo il ruolo che si addice a noi, soprattutto ad uno che si dichiara essere di AC. Come i servi quindi dobbiamo uscire per le strade ed invitare tutti alle nozze “cattivi e buoni”, consapevoli anche che ciò comporta il rischio di essere sbeffeggiati o derisi dalla cultura corrente o peggio, il rischio di mettere in pericolo la nostra vita. Non è il caso della nostra realtà locale ma quanti cristiani nel mondo, anche in paesi vicini al nostro, rischiano la vita per il solo fatto di credere in Gesù!
Nella scansione triennale del cammino associativo, derivata dall’impostazione dei cardini del progetto formativo, dopo aver riflettuto nel 2011 sulla interiorità (Alzati! Ti chiama!), nel 2012 sulla corresponsabilità (Date voi stessi da mangiare), il Centro Nazionale ha scelto questo brano per accompagnarci nell’anno della missionarietà, una missionarietà che si esplica nella nostra realtà di tutti i giorni, proprio perché come dice il Decreto conciliare “Ad Gentes” È evidente quindi che l'attività missionaria scaturisce direttamente dalla natura stessa della Chiesa (Ad Gentes 6)
Essendo quindi “L’Azione Cattolica Italiana… un’Associazione di laici che si impegnano liberamente… per la realizzazione del fine generale apostolico della Chiesa.” (Art.1 dello Statuto) l’AC non può non essere missionaria così come la Chiesa: se non è missionaria semplicemente non è.
È a noi laici che il Concilio stesso affida l’opera forse più impegnativa: “La Chiesa non si può considerare realmente fondata, non vive in maniera piena, non è segno perfetto della presenza di Cristo tra gli uomini, se alla gerarchia non si affianca e collabora un laicato autentico. Non può infatti il Vangelo penetrare ben addentro nella mentalità, nel costume, nell'attività di un popolo, se manca la presenza dinamica dei laici.” (Ad Gentes 21)
Ma quale è il ruolo specifico dell’AC in tutto il mondo delle associazioni e movimenti laicali? Mi piace qui citare la recente intervista di Papa Francesco alla Civiltà Cattolica, intervista di cui molto si sta parlando ma che forse in pochi hanno letto interamente. Si potrebbe fare un parallelo tra quello che dice il Papa sul ruolo della Compagnia di Gesù e quello dell’AC: “La Compagnia (l’AC) è un’istituzione in tensione, sempre radicalmente in tensione. Il gesuita è un decentrato. La Compagnia è in se stessa decentrata: il suo centro è Cristo e la sua Chiesa. Dunque: se la Compagnia tiene Cristo e la Chiesa al centro, ha due punti fondamentali di riferimento del suo equilibrio per vivere in periferia.
Se invece guarda troppo a se stessa, mette sé al centro come struttura ben solida, molto ben “armata”, allora corre il pericolo di sentirsi sicura e sufficiente”
L’invito che ci viene è quindi quello di non guardare troppo alla nostra efficienza (o inefficienza), alla necessità di rafforzare la nostra struttura, anche se debole, ma quello di tenere sempre al centro Cristo e la Chiesa.
E la visione che ha Papa Francesco della Chiesa è forse molto diversa da quella che è apparsa ai più fino ad ora ma che invece corrisponde alla sua vera natura: “Questa Chiesa con la quale dobbiamo “sentire” è la casa di tutti, non una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate. Non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra mediocrità… Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso”
Spesso si sente parlare, erroneamente a mio parere, che l’AC è una cosa per pochi, che è solo per una elite, ma è anche vero che talvolta siamo noi stessi a limitarci, a pensare di agire sempre e solo negli stessi luoghi all’ombra del campanile ove spesso ci si pesta i piedi fra sigle diverse a contendersi i pochi fedeli rimasti! Occorre invece uscire dal solito recinto, avere il coraggio di rischiare: meglio un’AC “incidentata” che un’AC ferma e chiusa.
Sul tema specifico della missione anche qui la sua visione è spiazzante: «Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Chi se n’è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole audacia, coraggio».
La stessa audacia e coraggio che hanno avuto gli Apostoli dopo la Pentecoste, in ciò è provvidenziale il fatto che proprio in questo anno siamo invitati dalla nostra Diocesi a riflettere sul libro biblico degli Atti degli Apostoli. Se, come dice l’introduzione al sussidio, come Chiesa vogliamo rimettere al centro l’evangelizzazione è importante meditare come è avvenuta la prima. Questo non perché la comunità primitiva abbia vissuto una sorta di “età dell’oro” che noi non potremo imitare, ma perché più delle soluzioni dobbiamo imparare da loro la docilità all’opera dello Spirito per comprendere insieme oggi come essere comunità cristiana nel mondo.
Questo deve essere un forte antidoto alla “pastorale delle lamentele” di cui siamo preda molto di frequente, dice infatti sempre il Papa: “… le lamentele mai ci aiutano a trovare Dio. Le lamentele di oggi su come va il mondo “barbaro” finiscono a volte per far nascere dentro la Chiesa desideri di ordine inteso come pura conservazione, difesa. No: Dio va incontrato nell’oggi”.
Prima di venire alla parte propositiva, che verrà ulteriormente ampliata nell’esposizione dei programmi delle varie articolazioni, volevo fare una ulteriore riflessione sul nostro modo di operare, e lo dico soprattutto per me stesso: prima di mettere in piedi mille iniziative siamo capaci di affidarci al Signore?
Quanto della nostra pastorale è affidata alla programmazione che conta solo su noi stessi e quanto alla preghiera?
Possiamo essere preda anche noi di efficientismo, si possono infatti fare bellissimi programmi ma “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Salmo 127), per questo è importante riservare gli spazi giusti ai ritiri ed esercizi spirituali che cerchiamo sempre di proporre nei tempi forti, per tutte le fasce di età e con contributi di alto livello: per questo ringrazio fin da ora il Vescovo Massimo per aver accettato di tenere il Ritiro di Quaresima il 9 marzo.
Questa tensione alla missione c’è sempre stata nella nostra AC, la volontà di cercare strade nuove per arrivare a tutti si è sempre accompagnata alle iniziative rivolte più specificatamente alla comunità dei già credenti, certo si può fare sicuramente di più e meglio.
Il Festincontro è forse l’esempio più “antico” di volontà di andare incontro a tutta la cittadinanza e che cerchiamo sempre di tenere in alto, ma anche in molte altre attività, dal Progetto Genitori a quello per Famiglie si cerca sempre di affrontare argomenti che possano interessare una platea più ampia (la prossima settimana parleremo del gioco d’azzardo, lo scorso anno si sono affrontati i temi della solitudine e del matrimonio senza figli).
L’andare incontro agli altri per accoglierli sarà poi il tema dei ritiri vicariali di Avvento che verranno organizzati per la prima volta in collaborazione con la Caritas Diocesana.
Per sua natura poi l’ACR è missionaria, nella sua capacità di includere tutti i ragazzi nel cammino di iniziazione, nelle feste e nei campi scuola tanti partecipanti incontrano Gesù per la prima volta.
Dallo scorso anno poi l’ACG ha iniziato il progetto Workshope, un “Laboratorio della Speranza” che si prefigge di creare una continuità annuale nel cammino diocesano degli studenti delle classi di media superiore.
Così come lo scorso anno abbiamo voluto approfondire la tematica del Concilio in occasione del 50° del suo inizio anche quest’anno, partendo dall’incontro che a maggio abbiamo avuto col presidente Miano, vogliamo lanciare una grande iniziativa: “Pietre Vive” è il nome che abbiamo voluto dare al pe\rcorso di formazione socio-politica basato sulla Dottrina Sociale della Chiesa che inizierà a novembre.
Per attivare più realtà possibili ci siamo fatti promotori di questo progetto presso l’Ufficio di Pastorale sociale, il Servizio di Pastorale giovanile, la Pastorale Universitaria e avremo anche il contributo del nascente Progetto Policoro, oltre che aver avuto l’approvazione del Vescovo.
I dettagli verranno illustrati nell’ambito dell’esposizione dei programmi ma mi preme sottolineare che lo spirito che ci muove è la constatazione che la crisi che ci sta colpendo non è una crisi semplicemente economica ma trova la sua radice nella crisi dell’etica e della morale e in definitiva della concezione antropologica dell’uomo.
Di fronte a un problema di questo tipo non solo non possiamo rimanere indifferenti ma: “Un buon cattolico si immischia in politica. E prega per i suoi governanti”. (Papa Francesco)
Ci siamo chiesti però come impostare questo lavoro perché non si cada nella stantia logica degli schieramenti contrapposti che tanto male sta facendo nelle nostre parrocchie. Lo scopo semmai è il contrario e cioè promuovere una sensibilità comune che partendo dall’unica fede faccia prevalere la ricerca del bene comune al di là dei diversi schieramenti che legittimamente ognuno decide di appoggiare.
La risposta sta nella natura stessa dell’AC, che è quella della formazione delle coscienze (conformazione a Cristo) e dell’educazione ad un umanesimo integrale. Certo, la formazione delle coscienze richiede tempi lunghi come dice meglio di me il Papa nell’intervista già citata: “Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa”
In quest’anno l’AC è chiamata al rinnovo generale dei responsabili attraverso le assemblee elettive parrocchiali, diocesane (che annuncio ora sarà domenica 16 Febbraio 2014) e nazionale. Tra i significati che vogliamo attribuire all’assemblea elettiva che celebriamo ogni tre anni c’è quello del rinnovamento di impegno e dell’assunzione di responsabilità. Da parte di tutti! Occorrono impegno e responsabilità per la vita della Chiesa.
Sollecito quindi ogni associazione parrocchiale a segnalare uno o più membri che si rendano disponibili per il consiglio diocesano, in modo da inserirli nelle liste dei candidati. Risulta evidente che la qualità del servizio che il Consiglio diocesano riuscirà a dare alle parrocchie e alla diocesi dipende fortemente dalla disponibilità, di tempo e di capacità, dei suoi membri. Troppo spesso si tende a banalizzare un impegno di questo tipo dicendo che “è solo una riunione ogni tanto” ma non è così, e occorre che lo diciamo da subito. Molte delle attività che l’AC vorrebbe o dovrebbe fare spesso si fermano allo stato embrionale di fronte alla scarsità di risorse soprattutto umane, per questo credo che avremo bisogno anche di chi non rientrerà nel numero canonico degli eletti in consiglio definito dall’atto normativo: occorrerà concepire il Consiglio Diocesano come una realtà allargata anche a membri cooptati che potranno essere in primis quelli presenti nelle liste e, perché no, prevedere anche incontri periodici, anche dislocati, con i Presidenti parrocchiali.
Non vorrei che vi spaventaste, so bene che assumersi un altro impegno potrà sembrare eccessivo per le nostre vite già oberate dalle incombenze comuni, ma invito tutti a considerare questa come un’opportunità di crescita e di servizio alla Chiesa sapendo di poter contare sugli strumenti (quali convegni di formazione, campi nazionali, giornate di studio) che solo una associazione come l’AC può fornire.
Le riflessioni che vi abbiamo chiesto di mandare tramite la traccia di preparazione che è stata inviata o che verranno esposte qui in assemblea o che vorrete farci pervenire anche successivamente serviranno per preparare il documento programmatico diocesano per il prossimo triennio e che sarà presentato alla prossima assemblea elettiva.
Da parte nostra, come consiglio attuale, rinnoviamo la disponibilità a partecipare al percorso parrocchiale di rinnovamento delle cariche, se vorrete invitarci.
Aggiungo solo che nella cartellina potete trovare il depliant che illustra l’iniziativa nazionale L’AC PER I BAMBINI SIRIANI, sarebbe bello che in occasione delle assemblee parrocchiali o della festa dell’adesione si sensibilizzasse verso questa bella iniziativa pienamente “missionaria”; questi bambini sono quelli che hanno più diritto ad essere invitati alla grande festa di nozze!
Alberto Saccani