Se non fosse che sta facendo la convalescenza dopo un intervento al ginocchio che aveva programmato da tempo, non troverei aggettivo migliore di “scattante” per definire l’inizio del mandato di Sara Iotti quale nuova presidente diocesana di Azione Cattolica. Scattante – malgrado anche il periodo di distanziamento fisico - sulla spinta di tante esperienze che ha maturato dentro l’associazione e di una carica vitale che, parlando al telefono, si coglie già dal tono di voce e poi tra una digressione e l’altra della conversazione. Una moglie e penta-mamma “sportiva”, insegnante con un occhio di riguardo per chi resta indietro, che ama viaggiare e condividere con il marito diacono esperienze di spiritualità in bici – vedasi Cammino di Santiago o la via Francescana – ma anche sciare, intraprendere percorsi a piedi, ascoltare musica… “Non so come farò a tenere insieme tutto”, dice schermendosi. Ma non ci voleva Ligabue per capire che le donne (in realtà) lo sanno…
Allora Sara, pronta per la prima intervista diocesana?
No! Non sono un’oratrice: parlare in pubblico è una delle cose che mi ha sempre preoccupato di più, fin da quando, a ventun anni, mi sono dovuta confrontare a scuola con la prima classe di studenti e i rispettivi genitori, nel timore di rimanere bloccata…
Che lavoro fa?
Insegno nella scuola primaria nell’ambito linguistico. A parte il primo anno trascorso a Fabbrico come insegnante degli alunni di origine straniera, ho all’attivo 28 anni di insegnamento a Bagnolo in Piano, il comune in cui abito, presso l’Istituto comprensivo statale “Ezio Comparoni” nella Scuola primaria “Giovanni Pascoli”. Negli ultimi due anni ho ricevuto un incarico per me molto importante, quello di Funzione strumentale per l’Inclusione degli alunni con Bisogni Educativi Speciali (alunni con disabilità, con D.S.A. e con B.E.S.) occupandomi, in collaborazione con il dirigente scolastico, dei processi organizzativi che hanno come scopo la piena integrazione di questi alunni speciali.
La sua famiglia?
Prima di tutto sono una moglie e una madre, compito difficilissimo e avvincente. Sono sposata con Giacomo Capiluppi, uno dei diaconi permanenti in servizio nell’unità pastorale “Maria Madre della Chiesa”, e i nostri figli sono Beatrice, Alessandro, Federico, Francesco, Emanuele, di 24, 22, 20, 17 e 12 anni. Crescere dei ragazzi in questo tempo di relativismo non è facile, ma cerchiamo di trasmettere loro un’educazione e dei “sogni” legati alla fede…
A proposito di educazione alla fede, com’è avvenuto il suo incontro con l’Azione Cattolica?
I miei genitori, Vanna e Vittorio, che hanno militato nell’Ac, non hanno mai insistito con me e con i miei fratelli Primo (direttore della Cappella Musicale della Cattedrale, ndr), Gabriele e Lorenzo perché entrassimo a fare parte dell’associazione.
Ricordo anche, come esempio, che quando io e Giacomo eravamo giovani genitori, mia suocera Marisa ci invitava a partecipare agli incontri di formazione del “Progetto genitori” e a quelli per sposi “Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea” così lei ed Enrico avevano la possibilità di fare un po’ i nonni. Tutti, con discrezione, ci hanno comunque lasciato un esempio positivo. Nel mio caso è stato il parroco di Bagnolo don Pasquino Fontanili che, intorno al 1995, mi ha “acciuffato” quando ero adolescente. All’epoca frequentavo la Messa domenicale e poco più, e il don mi chiese di affiancarmi ad alcuni catechisti della parrocchia; alla fine dell’anno pastorale mi pagò l’iscrizione al campo-scuola di Ac, dove l’esperienza fu… forte: non ero abituata a tanti momenti di preghiera durante il corso della giornata, per non parlare delle relazioni con i lavori di gruppo…
A quanto pare però le servirono…
Quella volta sono tornata a casa un po’ stordita, in effetti. Ma l’anno successivo sono ritornata, su insistenza delle mie amiche, e in me è avvenuta una svolta: ricordo di averla avvertita in particolare durante una celebrazione eucaristica presieduta da don Tiziano Ghirelli, mentre eravamo tutti intorno all’altare. Da quel momento sono rimasta legata all’Ac, anche come educatrice nei campi giovani e con incarichi a livello parrocchiale, e insieme a Giacomo ho animato gruppi del percorso per fidanzati “Tobia e Sara”; dal 2006, insieme al parroco di allora don Giovanni Rossi, ci siamo impegnati insieme ad altri genitori perché l’associazione si radicasse in parrocchia a Bagnolo, come poi è accaduto.
Veniamo all’oggi. Il Covid-19 ha spazzato via pure il Festincontro, tradizionale appuntamento di giugno…
Fino all’ultimo momento abbiamo sperato di viverlo anche quest’anno, ma nel periodo in cui bisognava prendere delle decisioni non c’erano le condizioni per organizzare feste popolari. Ciononostante, lo scorso 16 giugno abbiamo fatto coincidere il ritrovo consueto con un evento di formazione online, intitolato “Giù la mascherina: il nuovo volto della Chiesa al tempo della pandemia e oltre”, insieme al presidente nazionale di Azione Cattolica Matteo Truffelli. Inoltre non abbiamo ancora rinunciato all’idea di organizzare un momento più breve del Festincontro, una due giorni ai primi di ottobre, con Messa, gnocco e salume, un momento di incontro formativo e magari con l’assemblea diocesana, speriamo anche con la restituzione delle esperienze estive dei più giovani...
Dedurrei che in quest’estate i campi di Ac avranno luogo. È così?
L’Azione Cattolica Ragazzi non terrà il classico campo-scuola, ma l’idea è quella di organizzare un mini-campo per mantenere il contatto con i più piccoli: un pellegrinaggio in un posto significativo da poter raggiungere in sicurezza e poi da godere in fraternità. L’ipotesi dell’équipe dei giovanissimi è quella di ritagliare un momento da vivere insieme, più breve degli anni scorsi e con un numero minore di partecipanti, ma di non perdere l’occasione per camminare insieme. Per i giovani si parla di un campo all’aperto - in montagna? In bici?… - sulla Laudato si’ per contemplare le meraviglie del creato, nello spirito di sapere sempre ringraziare con semplicità di questo dono, accompagnati da un testimone di Ac. Insomma, le varie soluzioni a misura di Covid-19 sono in fase di elaborazione.
Parlando di cariche associative, cosa c’è nel curriculum di Sara Iotti?
Dal 2004 al 2014 sono stata inserita nel mondo simpatico e vivace dell’Acr diocesana e nel settore giovani a livello parrocchiale; negli ultimi sei anni, durante la presidenza di Andrea Cavazzoni, sono stata vicepresidente per il settore adulti.
Mi ha arricchito la partecipazione agli incontri regionali e nazionali e, indirettamente, mondiali, come il Congresso internazionale di Azione Cattolica del 27 aprile 2017, da cui ho portato a casa la voglia di tradurre in diocesi le esortazioni di Papa Francesco insieme alla vivacità e alla creatività dell’associazione.
Di cosa c’è più bisogno, in questa fase?
Sicuramente di unitarietà: ce lo siamo detti alla fine del triennio e lo abbiamo ripetuto nella prima équipe diocesana adulti che si è tenuta in maggio. Credo che sia importante generare processi che tengano insieme tradizione e creatività, secondo le parole del presidente nazionale Truffelli. Lo spirito è quello del numero 33 dell’Evangelii Gaudium: “La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del «si è fatto sempre così»”. La pandemia ci ha insegnato ad andare all’essenziale: chiediamoci per chi e perché facciamo ogni cosa e da lì ripartiamo per vedere come si può essere associazione oggi al servizio della Chiesa.
E non da soli…
Infatti. Altro punto fondamentale è “abitare le relazioni”, essere tra la gente e vicino alla gente, nei nostri contesti di vita, affiancarsi alle persone, con lo stile del Pellegrino con i discepoli di Emmaus. Come servizio alla Chiesa
è importante incontrare i credenti di tutta la Diocesi, a partire dai luoghi in cui maggiore è stato lo scollamento tra Ac e parrocchia.
In diocesi che progetti ci sono?
Durante gli incontri che abbiamo avuto con lui, il vescovo Massimo ci ha chiesto di essere missionari là dove vivono le persone e di costruire o sostenere legami di unità e di comunione nella Chiesa reggiana, senza aver paura di perdere la nostra identità nel mescolarci e nel cooperare con altre realtà parrocchiali o diocesane.
L’anno scorso, ad esempio, dalla collaborazione dell’associazione con la Pastorale Familiare e con “Mistero Grande” di monsignor Bonetti è stata presentata in diocesi una nuova proposta, il weekend “Ecco lo Sposo”, che va ad aggiungersi ai tradizionali percorsi di Ac per coppie cristiane “Tobia e Sara” e “Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea”.
Come possiamo mantenerci missionari in questo tempo?
Un’Ac in uscita, un’Ac missionaria, un’Ac capace di farsi prossima è un’Ac che sa che il cuore pulsante della vita associativa ha a che fare con questa domanda -“Dove sono i nostri fratelli e come possiamo essere custodi dei nostri fratelli?” - come ha ricordato il presidente Truffelli in un recente incontro a Rimini. Ogni nostra iniziativa associativa deve partire da questa domanda. Tradizione e creatività, appunto, unendo i talenti di tutti sotto l’invocazione allo Spirito Santo.
Quale sarà il primo atto da presidente?
Convocare il rinnovato Consiglio diocesano per completare la Presidenza, non prima di avere incontrato nuovamente per le consegne e qualche consiglio il mio predecessore Andrea e don Gabriele, che in questa fase è l’unico assistente.
Come ha vissuto la scelta di monsignor Vescovo per la nomina a presidente?
Ho detto il mio sì, in particolare perché mi hanno chiamato i giovani, dopo una decisione ponderata; ci ho “pregato sopra” anche nelle CFE settimanali presenti nella nostra unità pastorale, oltre che come sposi e in associazione. Se fosse stato per me, avrei risposto al Vescovo che non mi sento all’altezza, nel senso che da sola non posso nulla. Ma credo in quanto ci siamo detti alla fine di questo triennio sui nostri sogni e sul bisogno di collegialità, per cui il presidente è parte di un gruppo che pensa, elabora e cammina nel servizio alla Chiesa. Su questo essere insieme conto moltissimo.
Edoardo Tincani