Je so’ puzzle è il titolo del #modulo formativo del settore adulti che si è svolto a Roma dal 6 all’8 maggio. Sono stati tre giorni intensi e ricchi di riflessione sulla vita degli adulti. I nostri vicepresidenti nazionali, hanno favorito con la loro spiccata simpatia, un clima disteso e familiare. I lavori di gruppo in stile sinodale ci hanno aiutato ad andare in profondità e con sguardo largo nelle situazioni.
Don Fabrizio De Toni, assistente centrale del settore Adulti ha posto questa domanda: “Come e quando si diventa adulti?”
Oggi un adulto è in continuo cambiamento in base alle esperienze vissute di volta in volta. La società “coriandolizzata” di oggi (dati Censis) ci restituisce un adulto poliedrico, multitasking, con attitudini ed interessi sempre meno definiti, che vive spesso ferite familiari e lavoro variabile. Spesso sono adulti non risolti, con la sindrome di Peter Pan.
Ma l’adulto oggi comprende almeno cinque generazioni (30/40enni, 40/50enni, 50/60enni, 60/70enni, 70/80enni e più). Ciascuna generazione è stata segnata da eventi traumatici ed ha sviluppato culture differenti.
Un tempo, lavoro e famiglia determinavano la porta d’accesso al granitico mondo adulto.
Oggi queste scelte sono rimandate e rivedibili e, soprattutto, sono poco identificabili i RUOLI, rispetto alla cura dell’altro. Si è adulti quando ci si prende cura di qualcun altro. In caso contrario, si rimane adolescenti e non generativi. In questa cura per l’altro si inserisce la crisi dei ruoli (la ridefinizione del modello di padre, l’identità di genere vista come prodotto culturale e perciò modificabile…).
Nel loro rapporto con gli adulti, i giovani ne escono male. Questi ultimi, ai quali gli adulti consegnano un mondo violento, sfruttato nelle sue risorse naturali e disumanizzato dalle intelligenze artificiali, si ritrovano giudicati e sfruttati. Inoltre spesso noi adulti continuiamo a dare loro risposte a domande che loro non si fanno.
L’adulto è un portatore sano di domande. Occorre creare per loro spazi di attenzione e strumenti per fare strada insieme.
In questo percorso la Chiesa non deve temere di s-confinare (anzi, tanto più il laico si sente appartenente, tanto più è giusto che sia “fuori”), di predicare, come Gesù, dalla barca e non dal pulpito, senza paura, col coraggio della fede, come “vera esperta di umanità”. Un accompagnamento che racconti una promessa di bene per ciascuno e non risposte preconfezionate; che ascolti, accogliendo le domande di spiritualità, senza la fretta di risposte immediate apertamente religiose. Su questa complessità tutta la Chiesa è chiamata ad interrogarsi soprattutto sulla qualità della partecipazione ecclesiale, concentrandosi sul senso di comunità a cui contribuire, prima dei numeri e prima dell’organizzazione.
Il Sinodo, in questo, può essere di grande aiuto, se diventa autentico stile permanente di chiesa. Ci si libererebbe così anche di un certo clericalismo, alimentato talvolta anche dai laici.
Quale postura offrire allora all’adulto di questo tempo come AC?
Quali adulti di AC?
Rita Mussini e Sara Iotti