Martedì scorso, nell’ambito dei progetti famiglia di Azione Cattolica, si è tenuto l’incontro con la dott.ssa Elsa Belotti, psicologa e pedagogista apprezzata e ospite gradito e non nuovo agli abituée del Centro Giovanni XXIII, sul tema “Se non sei uno non puoi essere in due”.
Relatrice vivace e mai banale, ha iniziato rovesciando il titolo della conferenza: “Se non si è due non si può essere uno”: infatti è comunque la relazione che fa la nostra identità, e rende possibile rispondere alla domanda “chi sono io?”. Il poterci pensare formichine che portano briciole al formicaio, utili alle altre formiche, ci rende più protetti da forme depressive, spesso in agguato in chi non si sente abbastanza “povero”, “mancante” per cercare una relazione con gli altri: Dio per primo crea l’uomo perché è povero e ha lo spazio per amare. Crea l’uomo a Sua immagine (la somiglianza sarà scelta nostra) perché siamo specchio Suo, e si rende subito conto che all’uomo Dio non basta, e crea la donna perché ne sia specchio. Le coppie non stanno in piedi perché non c’è il riflesso di qualcosa più grande…
Il contrario di amore, non è odio, è l’individualismo, il bastare a se stessi, togliersi dal’immagine di Dio e dall’incontro; è il narcisismo, dove la realtà deve coincidere con i miei bisogni, e dove questo non avviene, tutto deve cambiare, piegarsi al mio servizio, non rendendomi conto così della meraviglia di realtà che ho intorno, degli altri, se solo imparassi a guardarli per quello che sono, a com-patire. Allora la parola chiave della serata è consapevolezza, che non si può insegnare (chi è abbastanza saggio da poterlo fare?), ma che ci salva dalla dipendenza, dalla manipolabilità, incapaci di esistere senza le nostre “droghe” (dovremmo essere capaci di vivere anche senza il nostro sposo/a!).
Dalla mancanza di consapevolezza, (nulli a suo parere il maggior numero di matrimoni nella parte in cui si risponde “nella piena consapevolezza”), discendono molte cose che portano alla attualità tragicomica: la mancanza di autorevolezza degli insegnanti che scrivono una nota alle famiglie per stigmatizzare un comportamento dei figli che in verità rivelano il fallimento del loro ruolo; dei genitori, che allora dovrebbero rispondere parimenti scrivendo alla maestra una nota sul mal comportamento del figlio a casa, significando così il rapporto scuola-famiglia in un dialogo di non autorevolezze!
E ancora, il non essere consapevoli ci porta, come genitori a non stare nel ruolo, ma cercare sempre di essere amati dai figli, che portano tutto lo stesso nome, “Amore” (ma perché, non li avete battezzati?), vogliamo esser loro simpatici, mentre noi dobbiamo amarli ed in virtù di questo fare scelte anche controcorrente, accettando di essere “odiati”.
Attenzione ancora a dare troppo spazio alle emozioni, perché la nostra umanità non si esaurisce in esse, cosa ne facciamo di ciò che proviamo, per non divenire schiavi? Le nostre tre dimensioni corpo-psiche-spirito devono stare in armonia, e portare a salute-serenità-gioia, dove ciò che non si perde mai è la gioia dello spirito, anche se è la parte che il mondo considera sempre meno. Distinguiamo il male dal dolore, questo è la parte positiva di quello, la ragnatela di bene che abbiamo seminato nei nostri dolori la potremo vedere solo nella vita eterna: anche qui, è la consapevolezza che tutto passa, che siamo in un cammino spirituale di purificazione dei nostri sentimenti e che ogni momento della vita, pur brutto che sia, è destinato a muoversi ed esaurirsi, così potremo dare il giusto peso alle cose.
Cosa non funziona nella coppia? È tutto quello già detto, è la voglia di cambiare l’altro che non si piega ai miei desideri, per averlo in potere, è la realtà che non combacia con i miei bisogni, la dipendenza che può portare a rapporti bambino/mamma o bimba/papà, il portare i nostri dolori infantili senza scioglierli nel dolore, lasciandoli nella rabbia. E ancora, il buttare sull’altro la mia parte più brutta, scaricandola sui suoi difetti, lo specchio che diventa ombra, non possiamo permetterci che sia migliore dei miei genitori, dimenticando che Dio ci ha “ordinato” chiaramente di abbandonare padre e madre per divenire “carne sola”.
Ma nessuno di noi due cambierà… passiamo dal “mi hai rotto il gioco” al “tocca a me”, facciamo noi, cambiamo noi, l’altro è la mia terapia.
E infine, come ultimo spunto per la riflessione, cita San Paolo che è chiaro: la donna santifica l’uomo, sono le donne a portare la salvezza all’umanità, siate donne che dicono sì alla salvezza, alla pazienza… che compito!